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Codice leopoldino su Wikipedia
La tradizione penalistica toscana ha un'origine d'antico regime. È un sovrano toscano illuminato, Pietro Leopoldo, che dopo attento studio, anche personale, firma a Pisa il 30 novembre 1786 la legge di riforma criminale con la quale si sostituisce - caso unico in Europa – la pena di morte con la pena dei lavori forzati a vita, applicando le idee di Cesare Beccaria.
Sta in questa legge, conosciuta poi come la "Leopoldina", l'origine della tradizione toscana nel campo della scienza penale. Vero è che poco dopo la pena di morte nello stesso Granducato venne reintrodotta, ma è altrettanto vero che anche negli anni della restaurazione venne in Toscana scarsamente applicata (e poi definitivamente abrogata nel 1859).
Il clima politicamente mite favorì gli studi penalistici che si svilupparono anche in forma autonoma rispetto alla imperante tradizione francese. Ne sono documento opere quali gli Scritti germanici di diritto criminale di Francescantonio Mori e il Programma del corso di diritto criminale tenuto da Francesco Carrara all'Università di Pisa. E più che alla Francia si guardò alla Germania nell'unica codificazione che si realizzò nel Granducato: il Codice Penale del 1853, il miglior frutto della scienza giuridica toscana e il corpo di norme penali più tecnicamente avanzato tra quelli degli stati preunitari; tanto avanzato da influenzare da vicino poi la costruzione del primo codice penale unitario del Regno d'Italia, il Codice Zanardelli del 1889, che eliminò - non per caso - la pena di morte in tutta l'Italia. Le opere digitalizzate - alcune delle quali rare e di difficile reperimento - mostrano parte degli sforzi della dottrina toscana che portarono alla redazione del Codice del 1853, insieme alla più nota edizione commentata del codice stesso.
Ultimo aggiornamento
18.12.2023