Estratto
Pagine riprodotte: 36-40
- Autore: del prof. Paolo Mantegazza al prof. Enrico Giglioli
- Pubblicazione: Milano : V. Maisner e Co, 1876
- Descrizione fisica: 23 p., 12 c. di tav. ripieg. ; 23 cm
- Pubblicato in Archivio per l'Antropologia e la Etnologia
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Mantegazza, professore di Antropologia presso l’Istituto di Studi Superiori a Firenze dal 1869 al 1910, concepì l’Antropologia come la disciplina atta ad «assegnare il posto naturale all’uomo nella gerarchia delle creature vive, studiarne i mutamenti nel clima, nella razza, nel sesso, per l’alimento e la malattia, studiare le varietà, le razze e i tipi diversi dell’uomo, classificarli, indagare gli incroci e gli ibridismi umani; analizzare l’Uomo, definirne e misurarne le forze, i bisogni fisici e morali nelle diverse razze e d’ogni razza fare la storia naturale; tentare il disegno dei confini della perfettibilità umana: ecco quanto si propone questa scienza». Mantegazza riservava a sé il compito più limitato di raccogliere i «materiali di una craniologia italiana», di tentare la «misura di molte di quelle capacità dei sensi e della mente, che finora non si credettero suscettibili di misura alcuna» e di tracciare «le prime linee di una psicologia comparata delle razze e dei tipi umani». Secondo lui però l’Antropologia in generale non doveva fermarsi allo studio dell’Uomo medio o dell’Uomo ideale, doveva anzi studiare gli uomini nella loro infinita variabilità, nelle loro manifestazioni bestiali e divine, dall’antropofagia al sacrificio di sé, dal cretinismo alla genialità.
«L’Antropologia - scriveva Mantegazza nel 1870 - scienza ricca di temerario avvenire, non ha altra pretesa che quella di studiare l’Uomo con lo stesso criterio sperimentale con cui si studiano le piante, gli animali, le pietre [….]. Non ha altra aspirazione che quella di misurare, di pesare l’Uomo e le sue forze senza il gioco di tradizioni religiose, di teorie filosofiche preconcette, senza orgoglio, ma senza paure».
In linea coi principi sopra esposti, il primo corso di lezioni tenuto da Paolo Mantegazza a Firenze fu dedicato alla definizione dell’Uomo e del posto che egli occupa nella natura secondo un’”analisi naturale”. Il secondo corso, del 1871, fu dedicato all’analisi dei fattori che «modificano la natura umana» che non è «uguale, ma variabile contro la visione metafisica» e si intitolava: Come si trasmettono le modificazioni e i limiti della perfettibilità umana sommando tutte le quantità e qualità delle modificazioni. Il 1871 è anche l’anno in cui Mantegazza affronta il tema del darwinismo con grande entusiasmo, ma anche con senso critico.
Mantegazza sintetizza i suoi dettami “etnologici” nei seguenti termini: l’Uomo è uno degli animali più cosmopoliti e dei più variabili, si presenta quindi con una grandissima varietà di razze, di sottorazze e di popoli; il numero delle razze è indefinito, molte sono scomparse, altre si formano e si formeranno ancora; più si retrocede nella storia e più si trovano razze e sottorazze, perché allora gli uomini viaggiavano poco e rimanevano a lungo isolati gli uni dagli altri; in alto e in basso dall’albero umano rami e ramoscelli si avvicinano in modo che, altissimi e bassissimi, si toccano. Il negro che si eleva a cafro si avvicina all’europeo; l’europeo che con il gozzo o il cretinismo o la fame si abbassa, si avvicina all’australiano e al negro; in generale le razze più basse sono nere e molto brune, le medie meno brune e le alte bianche o quasi bianche; nel classificare le razze dobbiamo escludere di considerare la loro possibile origine, perché la ricerca delle origini è la più feconda sorgente di errori etnologici.
Mantegazza constata infine che, a seguito di tante riflessioni, si sente il bisogno di «domandarci se nello svolgimento evolutivo dell’umanità vi sia progresso e miglioramento, se insomma sia vero che noi siamo migliori dei nostri padri e questi siano stati migliori dei nostri lontanissimi antenati». A questa domanda che è «la più importante fra quelle che l’Uomo fa a se stesso, si risponde purtroppo più col sentimento che colle scienze». E la risposta varia a seconda che siamo “ottimisti” o “pessimisti”. Mantegazza si professa ottimista e crede che anche «nella storia umana vi sia un reale continuo progresso».