Vai ai volumi della collezione | Vedi anche:
Quando all'età di nove anni ebbe in dono dal padre l'Abbregé de l'histoire des Turcs, Aldobrandino Malvezzi de' Medici (1881-1961) scoprì un mondo che l'avrebbe affascinato per tutta la vita, e incominciò a collezionare i libri che avrebbero costituito la sua "Collezione orientale": memorie di viaggiatori in Oriente, atlanti di terre lontane, libri di storia sull'impero ottomano, sulla Palestina, sulle diatribe teologiche tra cristianesimo e islam, storia delle lingue orientali, cronache e annali del XVI, XVII e XVIII secolo.
All'età di ventidue anni partecipò alla missione archeologica di Schiaparelli a Luxor: conquistato dalle meraviglie dell'Egitto studiò il mondo arabo e i suoi rapporti con l'Europa. Raggiunse l'India e Ceylon, visitò la Grecia, meditando sulle origini della cività occidentale. Dopo la conquista italiana della Libia, sostenne la necessità di abbandonare i "sistemi di dominazione" del colonialismo, di superare pregiudizi e luoghi comuni - frutto della secolare ostilità tra cristianesimo e islam - e di studiare la civiltà delle popolazioni indigene, sforzandosi di comprenderle attraverso il filtro della loro cultura e non di quella occidentale.
Docente di Diritto coloniale presso l'Istituto Cesare Alfieri dell'Università di Firenze, nel 1938 abbandonò l'Università; interrotta anche la carriera diplomatica, si ritirò nella settecentesca dimora di famiglia a S. Lazzaro di Savena, nei pressi di Bologna. Durante l'occupazione nazista, tenne nascosti nella sua tenuta cinque soldati inglesi, evasi da una vicina prigione, e abbandonò fortunosamente la villa prima che le truppe tedesche in ritirata la saccheggiassero e la facessero saltare in aria, insieme agli arredi, alle suppellettili e alla collezione dei pregiati tappeti Buchara portati dall'India.
Finita la guerra, Malvezzi tornò a Firenze e all'insegnamento universitario, mettendo a disposizione di colleghi e studenti la sua preziosa "Biblioteca orientale", 1300 opere che vanno dal 1500 al 1930, donata all'Università poco prima della morte.
Fu una sorta di precursore della decolonizzazione: in una lezione del 1951 deprecava che le potenze coloniali non concedessero l'indipendenza alle popolazioni indigene e invitava i giovani a coltivare conoscenza e tolleranza, indispensabili per la pace e la convivenza dei popoli.
Ultimo aggiornamento
19.12.2023