Il tema dell’unificazione amministrativa aveva impegnato la classe politica liberale fin dai mesi precedenti all’unificazione politica, per la presenza, nei territori annessi, di leggi e di istituzioni diverse, superate o inefficaci, espressione degli antichi regimi.
Con la Convenzione di Firenze del 1864 e il trasferimento della capitale da Torino a Firenze si rese ancora più urgente una semplificazione e un ammodernamento dell’amministrazione, rimuovendo gli ostacoli che rendevano complessa, incerta e non uniforme l’applicazione delle leggi.
Il 20 marzo 1865 fu varata la legge n. 2248 per l’unificazione amministrativa, che comprendeva sei provvedimenti riguardanti l’amministrazione comunale e provinciale, la sicurezza pubblica, la sanità pubblica, l’istituzione del Consiglio di Stato, il contenzioso amministrativo e le opere pubbliche, un complesso di norme destinate a incidere profondamente sulla vita civile e sull’organizzazione degli organi del governo locale.
L’unificazione amministrativa si tradusse in realtà nell’estensione al resto dell’Italia degli ordinamenti piemontesi, caratterizzati da un impianto fortemente centralistico e gerarchico, che consentivano al governo di esercitare, attraverso i prefetti, un ferreo controllo sull’amministrazione locale.
Il Regno fu suddiviso gerarchicamente in vari livelli amministrativi (province, circondari, mandamenti e comuni); il comune era retto da un Consiglio comunale elettivo, una Giunta municipale, un segretario comunale e un ufficio comunale. La figura del sindaco era ibrida: definito dalla legge “capo dell’amministrazione comunale e ufficiale del Governo”, era sia il rappresentante della comunità locale che del Governo centrale. Non veniva eletto dai concittadini, ma nominato per decreto regio fra i consiglieri comunali, scelto - su proposta del prefetto – dal Ministero dell’Interno.
La forma centralizzata del nuovo Stato - che si esprimeva anche nell’organizzazione dei ministeri, della scuola, della giustizia e delle forze armate, nell’accentuazione della burocrazia rispetto agli organismi elettivi e rappresentativi, nel ruolo privilegiato del Piemonte nella guida del Paese - provocò malcontento e contrasti tra i liberali e tra tutti coloro che aspiravano all'autonomia locale e regionale.
Ultimo aggiornamento
06.06.2022