La legge Casati, che aveva riformato in maniera organica l’ordinamento scolastico del Piemonte, mirando essenzialmente alla formazione della classe dirigente, aveva sancito il principio della gratuità e dell’obbligatorietà dell’istruzione primaria dai sei agli otto anni e l’obbligo per i comuni di impartirla a proprie spese, ma non aveva previsto sanzioni per i genitori e per i comuni che avessero disatteso all’obbligo, né il rilascio di un diploma che attestasse le competenze di base acquisite durante il biennio. I comuni più piccoli, privi di risorse finanziarie adeguate, spesso non furono in grado di aprire e di mantenere le scuole. L’evasione scolastica restò altissima, soprattutto nelle zone rurali e montane, dove i bambini aiutavano le famiglie nei lavori dei campi.
Alla formazione dei maestri provvedevano le Scuole Normali, della durata di tre anni, separate per sesso: alle studentesse era riservato l’apprendimento dei “lavori donneschi”, per gli studenti era invece previsto un corso sui diritti e i doveri dei cittadini; dopo i primi due anni di corso si conseguiva una patente che consentiva l’accesso all’insegnamento nel biennio inferiore della scuola elementare. La preparazione dei maestri restava pertanto molto approssimativa.
L’inchiesta sulle condizioni della pubblica istruzione nel Regno d’Italia, proposta nel 1864 da Carlo Matteucci, vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione, confermò il sostanziale fallimento della legge Casati nella lotta all’analfabetismo soprattutto nel Mezzogiorno: i bambini disertavano la scuola perché lavoravano nei campi, i comuni non avevano i mezzi per fornire libri e quaderni ai più poveri, i maestri insegnavano in classi sovraffollate, che arrivavano a contare anche 70 allievi, di età diverse e diversi livelli di apprendimento, ed erano spesso precari e sottopagati, costretti a fare altri lavori per mantenersi.
La legge Coppino, varata il 15 luglio 1877 introdusse alcune novità rispetto alla legge Casati: elevò da due a tre gli anni di obbligo scolastico per fanciulli e fanciulle, imponendo alla fine del biennio un anno di corso serale o festivo, e introdusse delle sanzioni per le famiglie che disattendevano all’obbligo. I programmi prevedevano l’insegnamento dell’italiano e della matematica, nozioni in merito ai “doveri dell’uomo e del cittadino”, una maggiore attenzione per le materie scientifiche e non prevedevano l’insegnamento della religione, il che provocò il disappunto dei cattolici benestanti, che preferirono alle scuole statali quelle private, rette da religiosi.
Le spese di gestione restarono tuttavia a carico dei comuni, il che rese problematica la piena attuazione della legge.
Ultimo aggiornamento
06.06.2022