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Legge per l'allargamento del diritto di voto

Frontespizio della Legge elettoraleRegio Decreto che approva
il testo unico della legge elettorale politica
24 settembre 1882

Pagine riprodotte: 3.534-3.539 

Prima della riforma, la legge elettorale si basava su quella del Piemonte estesa a tutto il Regno dopo l’Unità, che concedeva il diritto di voto ai cittadini di sesso maschile di almeno 25 anni che sapessero leggere e scrivere, che godessero dei diritti civili e politici e che pagassero un censo di imposte dirette non inferiore alle 40 lire. Alle prime elezioni politiche del 1861, furono iscritti solo 418.696 cittadini, pari all'1,89% della popolazione italiana.

Vent’anni dopo, nel 1880, gli elettori furono soltanto 621.896, pari al 2,2% della popolazione totale.

La riforma elettorale, varata dopo lunghe discussioni parlamentari con le leggi del 22 gennaio e del 7 maggio 1882, allargava il diritto di voto ai cittadini italiani di sesso maschile che avessero compiuto il ventunesimo anno d'età, sapessero leggere e scrivere, avessero superato l’esame di seconda elementare, o in alternativa, pagassero annualmente un’imposta diretta di almeno 19,80 lire.

La nuova legge elettorale, quindi, abbassò il limite di età da 25 a 21 anni e pose come requisito essenziale per esercitare il diritto di voto la capacità e non il censo. Quest’ultimo, inoltre, venne abbassato da 40 a 19.80 lire.

Ciò consentì un notevole allargamento del corpo elettorale, che passò nel 1882, in occasione delle prime elezioni indette con la nuova legge, a oltre due milioni di cittadini (2.017829), pari al 6,9% della popolazione totale, permettendo a una parte della classe operaia di partecipare alle elezioni.

La nuova legge, tuttavia, continuava ad escludere dal voto gli analfabeti e i nullatenenti, oltre che le donne: le città e il Nord furono in sostanza favoriti rispetto alle campagne e al Sud, dove l’analfabetismo e la povertà erano più diffusi.

Il suffragio universale, richiesto soprattutto da radicali, repubblicani e socialisti, ma anche da cattolici e liberali di Destra, che speravano che il voto dei contadini analfabeti garantisse la conservazione sociale, venne respinto dalla Camera nel giugno del 1881. Solo nel 1912 una nuova legge elettorale, promulgata da Giovanni Giolitti, avrebbe concesso agli analfabeti il diritto di voto, purché avessero compiuto 30 anni o prestato il servizio militare.

Ultimo aggiornamento

06.06.2022

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