Lettere meridionali ed altri scritti
sulla questione sociale in Italia
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Pagine riprodotte: 1-16
Le Lettere meridionali, corrispondenze giornalistiche inviate nel marzo del 1875 da Pasquale Villari a Giacomo Dina, direttore del giornale moderato “L’opinione”, sono considerate il manifesto del movimento meridionalista.
Per la prima volta furono denunciate, davanti all’opinione pubblica e alla classe politica del Paese, le cause sociali della camorra, della mafia e del brigantaggio, la condizioni di estrema miseria e di abbrutimento delle masse contadine meridionali, la corruzione e l’inadeguatezza della classe politica locale, arroccata nella difesa dei propri interessi particolari.
L’analisi dello storico napoletano si allargava all’intero processo risorgimentale, mettendone in luce i limiti e le contraddizioni: la rivoluzione politica, che aveva permesso l’unificazione, non era stata accompagnata da una rivoluzione sociale e dalla nascita di una nuova classe media, in grado di operare per il bene comune e di rappresentare, all’interno delle istituzioni, le istanze delle diseredate masse meridionali.
Le Lettere provocarono un ampio dibattito in Italia e all’estero, come ricorda l’autore nella prefazione alla seconda edizione, e anche l’accusa di aver esagerato nella descrizione delle misere condizioni di vita dei popolani nei fondaci napoletani. L’epidemia di colera che colpì Napoli nel 1884 costituiva invece - secondo l’autore - la drammatica conferma della veridicità delle sue parole. A Napoli e ai volontari che soccorsero i colerosi volle dedicare nel 1885 la riedizione del volume “scritto a difesa dei poveri”.
Ultimo aggiornamento
06.06.2022